29 giugno 2010

AMBITO DI INTERVENTO >> PERsona: PER chi - PERché >> FEMMINICIDE 4

[...] In qualsiasi forma venga esercitata, la violenza rappresenta sempre l’esercizio di un potere che tende a negare la personalità della donna: brutalizzando il suo corpo o la sua anima si afferma il dominio su di essa, rendendola oggetto di potere la si priva della sua soggettività.
Il femminicidio quindi è un fatto sociale: la donna viene uccisa in quanto donna, o perché non è la donna che l’uomo o la società vorrebbero che fosse.

Violence Domestique, video, http://www.justice.gouv.fr/

Sicure Da Morire, video realizzato dal gruppo Gravid@mente
per il 25 Novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne
 
[...] Se si considera il femminicidio come fatto sociale, diventa più facile capire come la sua diffusione sia di portata “glocale”, nel senso che pur come fenomeno globale, esso si manifesta con caratteristiche peculiari (locali) differenti a seconda della struttura sociale di riferimento.
Se infatti la nostra società non riconosce la violenza sulla donna a meno che questa si manifesti nelle forme più estreme, ed anche in questi casi tende a “normalizzarla” più che a connotarla come violenza di genere, vi sono società in cui alcune forme di violenza sulle donne sono accettate come normali, in quanto è socialmente - ed in alcuni casi anche istituzionalmente, in maniera più o meno esplicita - condivisa l’ideologia patriarcale, che vuole la donna subordinata all’uomo.

Two Worldz, bR1, Italy

Muslim World, Barbie's 50th anniversary Islamic makeover

[...] Primo passo per poter rendere il femminicidio un problema politicamente risolvibile è “riconoscerlo” (1) nelle forme in cui localmente si manifesta. [...] Come sostiene Patrizia Romito (2) “il non-detto è indicatore politico di indifferenza e oscurantismo verso realtà problematiche, che generano un dolore non riconosciuto e non quantificato, in quanto tale non guaribile”.
[...] E’ noto che le società di matrice patriarcale e quelle divise in classi generano meccanismi ideologici per perpetrare e giustificare le relazioni di disuguaglianza, discriminazione, ingiustizia e tutti i tipi di violazioni dei diritti di quelle parti sociali che stanno in una posizione subordinata e marginale.
Tali meccanismi vengono fatti propri e riprodotti non solo dalle classi che ne beneficiano, ma anche dalle classi che ne sono vittime, che si rassegnano al loro status e si sentono alienate.
Nel caso delle donne, la sovrastruttura ideologica del sistema di matrice patriarcale o classista, si è servita delle Istituzioni sociali (religione, diritto, sistema educativo, media) per fondare e assicurare la subordinazione delle donne nelle relazioni di potere familiari, economiche, sociali in generale, ma in particolar modo per controllare lo svolgimento della sua funzione procreativa, considerata come un’obbligazione naturale.
Gli attori sociali quindi hanno una concezione della donna come soggetto violabile, ovvero come oggetto di dominio.
Ciò limita la donna nell’esprimersi, nel decidere, nell’agire: la sua condotta è determinata da decisioni altrui che, di fatto o di diritto, impongono su di essa la loro volontà, anche attraverso la violenza.
[...] la donna non viene considerata, e di conseguenza tutelata, dallo Stato in quanto donna, come persona portatrice di diritti assoluti inviolabili, ma viene invece considerata in nome della funzione sociale che riveste, o che dalla società le è assegnata per la sua natura: quella di “madre” o di “moglie”.




Stop Violence Against Women (Amnesty International), http://www.mdesign.se/sites/amnesty/

[...] è necessario, ed è atto dovuto, garantire alle donne il diritto a vivere liberamente il proprio corpo e la propria sessualità, [...] riconoscere che la violenza maschile contro le donne è il maggior problema strutturale della società, che si basa sull’ineguale distribuzione di potere nelle relazioni tra uomo e donna, e incoraggiare la partecipazione attiva nelle azioni volte a contrastare la violenza sulle donne (3).
[...] quello che servirebbe d’emergenza sarebbe piuttosto una campagna di sensibilizzazione, che “mobilizzi l’opinione pubblica attraverso l’organizzazione o la collaborazione a conferenze e la diffusione di informazioni, così che la società venga a conoscenza del problema e dei suoi effetti devastanti sulle vittime e sulla comunità in generale, e ne possa discutere con il coinvolgimento anche delle vittime (4).

(1) La non-conoscenza ha una funzione, per i dominanti come i dominati, e cioè il mantenimento dell’ordine delle cose. […] E’ proprio tra gli oppressi che la negazione dell’oppressione è più forte. (Mathieu, 1991, pp. 10 e 218, in P. Romito, Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori, p. 175, FrancoAngeli, 2005).
(2) P. Romito, Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori, FrancoAngeli, 2005.
(3) Council of Europe, Recommendation 5/2002 of the Committee of Minister to member states on the protection of women against violence, III.
(4) Council of Europe, Recommendation 5/2002 of the Committee of Minister to member states on the protection of women against violence, 7.

Source: Amnesty International, WHO (World Health Organization)
Source: VIOLENZA SULLE DONNE: PARLIAMO DI FEMMINICIDIO, pubblicazione a cura di Giuristi Democratici su http://www.giuristidemocratici.it/

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