19 luglio 2010

CONCEPT 2

“Dalla storia delle cose emerge la forma del tempo, si delinea un ritratto dell’identità collettiva, sia essa di una tribù, o di una classe, o di una nazione. La storia degli oggetti può essere rappresentata come se fossero dei fili o linee genealogiche o sequenze formali, ed anche la storia di ognuno è concatenata a quella degli altri”.
George Kluber


Il secondo concept utilizza anch’esso il sito web dell’AIDOS - Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo (http://www.aidos.it/) come elemento portante del sistema.

Il concept prevede una collezione di gioielli che, oltre a sensibilizzare circa la piaga delle mutilazioni genitali femminili (MGF), creando un ponte tra i paesi in cui questa pratica è presente e l’Occidente con le sue comunità di immigrati, intende creare micro-economie locali che coinvolgano le donne che subiscono tale pratica.

Si parte dall’idea del filo come legame di una trama, come elemento di collegamento di una rete o sviluppo di una storia, come “guida 
e soluzione nel caos dell’esistenza”, come unità base delle fibre naturali tessili e quindi elemento di tradizione culturale e sociale, strumento per la sopravvivenza e lo sviluppo dei popoli, legame
tra le varie culture.
Questo filo diviene strumento generatore per donne che tessono
e plasmano le proprie idee, sensazioni ed esperienze, rivisitano
le proprie tradizioni caricandole di significati, intrecciano l’immaginazione alla propria vita, dandole forma.
Un filo che si chiude, e diventa gioiello, come a concludere
un percorso, emblema della vita e del suo ciclo, con i suoi eventi consequenziali.

Lungo il filo sono disposti dei pezzi, creati da queste donne violate, ognuno rappresentante un evento importante della loro vita: 
la nascita, l’innamoramento, il primo rapporto sessuale, 
una malattia, il parto, la mutilazione genitale, una violenza, la dote, il matrimonio, la perdita di qualcuno, e così via. 
Ogni pezzo è creato secondo le tradizioni locali, estremamente diverse per storia e posizionamento geografico, con il supporto di laboratori creativi gestiti da operatori locali e non. 
In tal modo si vengono a creare micro-economie locali come piccola opportunità di emancipazione da condizioni di povertà 
e sottosviluppo per queste donne, e si tenta di far loro affrontare 
e superare i propri traumi, dissacrare le regole di una società di stampo patriarcale, e venire istruite circa la gravità di situazioni cui soggiacciono, laddove serve ed è possibile.
Rispettando le tradizioni artigianali si consente il mantenimento della loro identità culturale e sociale, si evitano forzature assolutamente poco produttive, e si danno in mano a queste donne gli strumenti che meglio conoscono, per una totale libertà di espressione.
Questi “pezzi-eventi” sono i tasselli pubblici di varie storie private, narratori di territori interiori e geografie indefinite da esplorare, terreni di sperimentazione tecnica e concettuale, ancore
di salvataggio.

Sul sito web, oltre ad un’imponente documentazione circa
la condizione delle donne nel mondo e le violenze loro perpetrate, sono presenti le storie di queste donne, i loro pensieri ed i loro manufatti che sono acquistabili: è possibile comprare “eventi” di più donne e mescolarli tra loro, in fondo questi fili, queste storie, scorrono parallelamente, si incontrano, si intrecciano,
si accompagnano, si somigliano.
I vari pezzi prodotti verranno assemblati e montati dall’acquirente
su una base preimpostata, che potrà, ad esempio, essere composta da sfere trasparenti da riempire o “alloggi” da agganciare tra loro.

Un’altra ipotesi è espandere i laboratori creativi, di supporto
al progetto, anche alle realtà a noi più familiari: creare laboratori
ad hoc, gestiti da associazioni quali l’AIDOS, per le comunità di immigrati in Europa (nelle quali è tuttora presente la pratica delle mutilazioni, insieme a moltissime altre forme di violenza, sottomissione e limitazione della libertà personale) e per qualsiasi altra donna che abbia subito episodi di violenza o traumi legati
al proprio corpo e alla propria sessualità (ad esempio un cancro
al seno o all’utero, la perdita di un figlio, un aborto e così via).
Si tratta di “laboratori terapeutici” per affrontare i propri demoni
e tentare di ricucire le ferite tramite la manualità, il fare,
la collaborazione e la condivisione della propria storia, la creazione
di gioielli che sono cicatrici che anche altri si porteranno addosso, battaglie che “io” avrò vinto.

Come per il precedente concept, il gioiello fungerà da passaparola
e sarà possibile partecipare attivamente ai dibattiti ed essere costantemente aggiornati tramite il sito web e, nello specifico,
le sezioni dedicate al progetto.
Indossare questo gioiello sarà come indossare la pelle di un altro individuo, essere parte della sua storia, condividerne le gioie
ma soprattutto i dolori, comprenderne il cammino.

storyboard concept 

mappa gerarchia attori del sistema

mappa diagramma di flusso del sistema

1 commento:

  1. Ciao, chiaretta!
    Se ti devo essere sincero trovo molto più interessante questa seconda proposta.
    L'idea di un gioiello che può mutare, oltre al fatto che tecnologicamente diventerebbe dispendioso, non credo possa aiutarti molto per lo scopo che ti sei preposta. Come hai detto bene un messaggio visivo è più di impatto, però deve essere ben chiaro ciò che si vuole esprimere, in quanto un immagine rispetto ad un testo può essere più facilmente fraintesa. Oltre alle differenze culturali fra i vari popoli, per cui uno stesso simbolo può avere diversi significati, devi considerare che ognuno è diverso e per questo una stessa forma può essere intesa in modi diversi ( un pò come le macchie di rorschach per intenderci! ). Anche se accanto al gioiello ci affianchi il sito, penso che una persona che passando davanti ad una vetrina di una gioielleria non riesca a capire di cosa si tratti a meno che non ci sia vicino un testo che spieghi cosa sia.
    Questa seconda idea la trovo invece molto più efficace da un punto di vista comunicativo. L'unica cosa sulla quale mi trovo in disaccordo è l'aiuto terapeudico che la produzione di questi gioielli porta sulle donne che li producono. Anche se per alcune di loro magari può essere valida come terapia, non tutte le persone reagiscono allo stesso modo di fronte ad un trauma e per alcune di esse c'è bisogno di un supporto psicologico.
    Il problema di questo tema che hai scelto è che riguarda una componente culturale di queste popolazioni e che quindi non può essere eliminata così facilmente.
    L'altro giorno stavo vedendo la copertina del times che avevi pubblicato su quella ragazza a cui i talebani avevano tagliato naso e orecchie. Oltre alla rabbia che provoca quella foto, la cosa che mi ha fatto veramente schifo era il trafiletto accanto alla foto della ragazza, che diceva "ecco cosa continuerà a succedere se ce ne andassimo dall' Afghanistan". Il problema è come queste piaghe vengano sfruttate anche a scopo politico. Il fatto che i vari governi dei paesi "occidentali" non si impegnino più di tanto a bloccare queste pratiche di mutilazione, credo sia dovuto anche al fatto che nei paesi africani dove vengono praticate non ci sia un interesse politico alle spalle. Da questo punto di visto penso che il tuo progetto possa avere un forte impatto a livello divulgativo del problema.
    Oltre a spiegare cosa siano le mutilazioni però penso dovresti fare una piccola introduzione su quali siano gli usi e le tradizioni delle tribù che le praticano, poiché per combattere realmente un problema penso sia necessario capire quali siano gli aspetti culturali che portano queste popolazioni ad effettuare questa pratica.

    Complimenti per il lavoro, un bacio e buon proseguimento!!!

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